30 Marzo 2015

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KiteLoose, quando il kitesurf è made in Italy

di: Antonio Gaudini
Max Galtarossa

Max Galtarossa: “Le tavole devono essere facili, divertenti e accessibili”

Lo shaper e fondatore del brand italiano KiteLoose, produttore di attrezzature da kitesurf, racconta la storia del marchio, la filosofia che sta dietro ai suoi prodotti e di come ha contribuito all’evoluzione di questa disciplina nel nostro Paese.

– Max da quando esiste il marchio Kite Loose?

«Il marchio Loose esiste dal 2000 quand o lo fondai insieme a mio fratello Gianvittorio e Fabrizio Airoldi con cui da subito ci dedicammo al kiteboarding attraverso la costruzione delle tavole. Già nel 2001 siamo stati tra i primi ad applicare la tecnologia costruttiva e i materiali utilizzati nella fabbricazione degli sci alle tavole da kite quindi riuscivamo a raggiungere degli spessori minimi, circa un centimetro, quindi da lì è partito tutto. Nel 2005 siamo passati anche alla costruzione delle ali grazie all’aiuto di diversi designer e oggi siamo ancora qua dopo quattordici anni di attività».

 – Perché l’hai chiamato KiteLoose?

«Loose nel gergo americano “vuol dire stai tranquillo”, “prenditela tranquilla”, hang loose è poi il saluto hawaiiano. A me è sempre piaciuto questo termine e la sua filosofia ed è stato naturale chiamare così il mio marchio prima con le tavole da windsurf, poi con quelle da snowboard e infine con quelle da kite».

Il kitesurf è nato come sport estremo ed elitario per poi diventare una disciplina sempre più diffusa e popolare. Che ruolo hanno avuto in questa evoluzione marchi come il tuo?

«Noi di KiteLoose abbiamo vissuto la nascita di questo sport almeno in Italia, dove i primi kite si sono visti a partire dal 1999 grazie a personaggi come Fabio Balini e Miky Galiffi che li presero alle Hawaii e li portarono nel nostro Paese. Da lì in poi si sono cominciate a vedere sempre più ali in giro per le nostre coste e la passione per questa disciplina si è sparsa a macchia d’olio. Il fatto di averlo potuto osservare da vicino fino agli albori ci ha permesso anche di averlo in parte influenzato nel nostro piccolo, proprio a partire dalle tavole dagli spessori minimi che allora facevamo solo noi e Riccardo Fumini di Newind. Noi ci ispirammo a un piccolo marchio Hawaiano di cui vedemmo le tavole in alcune foto. In seguito tutti i grandi marchi hanno seguito quel concetto, magari ci sarebbero arrivati anche da soli però ecco noi abbiamo sicuramente accellerato il processo. A volte le innovazioni vengono proprio da realtà piccole come la nostra che hanno il vantaggio della grande flessibilità nella produzione. Un altro elemento che siamo stati i primi a sviluppare, era il 2004, è stato un chicken loop con il passaggio della sicura in asse e con uno swiver per mettere in chiaro le linee front dopo che si esegue per esempio uno o più loop. Sicuramente all’epoca in quella prima realizzazione era ancora un concetto grezzo, ma poi è stato ripreso da tutti fino a diventare uno standard. Da lì in poi abbiamo sviluppato altri modelli fino ad arrivare a quello attuale, leggerissimo, resistente, tutto in plastica che vendiamo a diversi brand qui in Europa e in Cina. Ecco l’avere contribuito a rendere il kite più sicuro e confortevole attraverso queste piccole idee ci da soddisfazione».

Dietro a marchi piccoli come KiteLoose c’è un team di poche persone che si occupano di più cose contemporaneamente, tu cosa fai esattamente?

«Sì certo, io per esempio mi occupo di tutto quello che riguarda lo sviluppo e la produzione dei nostri prodotti, a partire dalle tavole. Prima di occuparmi di kite ho lavorato per tanti anni nell’industria dello sci e dello snowboard collaborando con diverse aziende. Poi per passione fin da ragazzo costruivo le tavole da windsurf, erano gli Anni 80 e a quel tempo era di moda farsi la tavola in cantina. Tutto questo mi ha fatto conoscere molto presto tutti i materiali tipici di questi sport, materiali spesso tossici purtroppo, come resine e poliuretano, con cui tutt’oggi convivo e respiro. Per tanti anni la produzione di twintip è stata interna alla nostra azienda. attualmente invece è stata spostata all’esterno a una grossa ditta che però segue le mie direttive, le mie idee, i miei shape. Internamente ora realizzo però tutti i surfini dall’inizio alla fine: si tratta di tavole costruite su ordinazione, personalizzate in quanto i do dei suggerimenti in base alle esigenze del cliente e in circa due settimane generalmente riesco a consegnare la tavola. Dove metto la massima attenzione nella realizzazione di queste tavole è il rapporto peso/resistenza, rinforzi nei punti della tavola più sollecitati (talloni, scasse, etc.) attraverso dei materiali che ho testato in questi anni. Tutti i pezzi sono garantiti, io ci metto sempre la faccia»

Nel lavoro di ricerca dello shape fai tutto da solo o ti aiuta un team di atleti che testano le attrezzature?

«Il rapporto con i collaboratori e con gli atleti è fondamentale. Da circa un anno stiamo collaborando con Erik Volpe con il quale stiamo sviluppando il settore Freestyle. La tavola Essence per il 2015 è già disponibile ed è stata realizzata sulle esigenze specifiche di Erik con cui c’è veramente un grande rapporto: è un ragazzo giovane, ma bravo e molto attento alle specifiche di linee e materiali. L’elemento per noi importante in ogni caso è cercare di interpretare le esigenze di prestazioni e comfort degli atleti e declinarle verso un pubblico più largo, di semplici appassionati: le attrezzature, sia ali che tavole, devono essere facili, gestibili, accessibili da parte dei nostri clienti che spesso sono bravi rider oppure praticano la disciplina solo nella bella stagione e che di certo non sono tutti campioni. La mia idea è che quando si fa kitesurf, bisogna divertirsi e non diventare pazzi con attrezzatura difficile o ingestibile e devo dire che negli ultimi anni siamo riusciti a realizzare prodotti performanti ma al tempo stesso semplici e divertenti da utilizzare, come le Raw attuali che sono una perfetta sintesi di tutti questi elementi. La stessa tavola Essence è un ottimo crossover dalle potenzialità incredibili, perfetta per chi fa Freestyle, ma anche per chi magari ha appena finito un corso di iniziazione. Oggi tutti i maggiori brand propongono tavole da Freestyle molto “sbananate” come forma e molto rigide. La Essence al contrario è morbida, con una rocker line meno aggressiva e va bene anche con mare choppato. Anche per i surfini il concetto è quello di creare prodotti performanti ma facili da gestire, in catalogo ora abbiamo le Nirvana che stanno lasciando un bel segno, tutti quelle che le hanno provate sono contenti,  sia principianti che specialisti del wave e le ordinazioni non mancano».

 – Come fai a far conoscere le tavole e le ali KiteLoose?

«Oltre al nostro sito www.loose.it cerchiamo di essere presenti il più possibile sul territorio, esigenze di lavoro permettendo. Normalmente in inverno nei week end o anche durante la settimana se le condizioni ci sono siamo in giro con gli amici sulle spiagge della Liguria o in Francia. In estate invece cerchiamo di capire dove c’è vento e raggiungiamo i vari spot poi nel mese di agosto di solito facciamo un giro più lungo, l’anno scorso abbiamo fatto tanta Sardegna e Toscana, mentre dua anni fa abbiamo girato quasi tutta l’Italia fermandoci sulle spiagge e facendo provare a tutti le nostre attrezzature. I test diretti sono ancora oggi il metodo migliore per far conoscere alle persone il nostro marchio e la nostra idea di fare kite che è molto diversa da quella dei grandi brand. Noi investiamo poco in pubblicità e marketing, tutto il nostro impegno va sul prodotto. Però stiamo cercando di creare un network di gente appassionata e motivata che ci aiuti anche con nuove idee a diffondere i nostri prodotti. Chiunque è interessato sa dove trovarmi».

– Max tu che hai vissuto prima l’esplosione dello sci, poi quella dello snowboard, che idea ti sei fatta del kitesurf e secondo te dove sta andando questa disciplina?

«Il Kitesurf ha avuto almeno in Italia il picco di popolarità a metà degli anni 2000, diciamo tra il 2005 e il 2006 poi a mio avviso si è stabilizzato. Chiaramente con la crisi economica le vendite di attrezzature e accessori si sono contratte per tutti i brand, del resto il kitesurf è uno sport, un passatempo, un qualcosa in più nella nostra vita. Noi cerchiamo di contenere al massimo i prezzi per agevolare tutti ad acquistare i materiali. Secondo me è una disciplina con un futuro certamente positivo, l’unica cosa che mi auguro è che tutte le scuole che operano in Italia e all’estero continuino a fare un lavoro molto preciso sulla formazione perché sempre più spesso vedo gente che finisce un corso e che non è completamente autosufficiente con il rischio di creare problemi a sé e agli altri in acqua e a terra. Per fortuna riguardo alla sicurezza di questo sport i materiali e i dispositivi di oggi non sono comparabili con quanto c’era 10 anni fa e i passi in avanti sono innegabili. Chi esce in mare tuttavia deve essere umile, critico nei confronti di sé stesso e del contesto ambientale e meteomarino e soprattutto conoscere le proprie potenzialità e i propri limiti».

Articolo redatto da
DAVID INGIOSI
Giornalista e Videoreporter
ufficiostampa@kitesurfing.it

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– Max da quando esiste il marchio Kite Loose?

«Il marchio Loose esiste dal 2000 quand o lo fondai insieme a mio fratello Gianvittorio e Fabrizio Airoldi con cui da subito ci dedicammo al kiteboarding attraverso la costruzione delle tavole. Già nel 2001 siamo stati tra i primi ad applicare la tecnologia costruttiva e i materiali utilizzati nella fabbricazione degli sci alle tavole da kite quindi riuscivamo a raggiungere degli spessori minimi, circa un centimetro, quindi da lì è partito tutto. Nel 2005 siamo passati anche alla costruzione delle ali grazie all’aiuto di diversi designer e oggi siamo ancora qua dopo quattordici anni di attività».

 – Perché l’hai chiamato KiteLoose?

«Loose nel gergo americano “vuol dire stai tranquillo”, “prenditela tranquilla”, hang loose è poi il saluto hawaiiano. A me è sempre piaciuto questo termine e la sua filosofia ed è stato naturale chiamare così il mio marchio prima con le tavole da windsurf, poi con quelle da snowboard e infine con quelle da kite».

Il kitesurf è nato come sport estremo ed elitario per poi diventare una disciplina sempre più diffusa e popolare. Che ruolo hanno avuto in questa evoluzione marchi come il tuo?

«Noi di KiteLoose abbiamo vissuto la nascita di questo sport almeno in Italia, dove i primi kite si sono visti a partire dal 1999 grazie a personaggi come Fabio Balini e Miky Galiffi che li presero alle Hawaii e li portarono nel nostro Paese. Da lì in poi si sono cominciate a vedere sempre più ali in giro per le nostre coste e la passione per questa disciplina si è sparsa a macchia d’olio. Il fatto di averlo potuto osservare da vicino fino agli albori ci ha permesso anche di averlo in parte influenzato nel nostro piccolo, proprio a partire dalle tavole dagli spessori minimi che allora facevamo solo noi e Riccardo Fumini di Newind. Noi ci ispirammo a un piccolo marchio Hawaiano di cui vedemmo le tavole in alcune foto. In seguito tutti i grandi marchi hanno seguito quel concetto, magari ci sarebbero arrivati anche da soli però ecco noi abbiamo sicuramente accellerato il processo. A volte le innovazioni vengono proprio da realtà piccole come la nostra che hanno il vantaggio della grande flessibilità nella produzione. Un altro elemento che siamo stati i primi a sviluppare, era il 2004, è stato un chicken loop con il passaggio della sicura in asse e con uno swiver per mettere in chiaro le linee front dopo che si esegue per esempio uno o più loop. Sicuramente all’epoca in quella prima realizzazione era ancora un concetto grezzo, ma poi è stato ripreso da tutti fino a diventare uno standard. Da lì in poi abbiamo sviluppato altri modelli fino ad arrivare a quello attuale, leggerissimo, resistente, tutto in plastica che vendiamo a diversi brand qui in Europa e in Cina. Ecco l’avere contribuito a rendere il kite più sicuro e confortevole attraverso queste piccole idee ci da soddisfazione».

Dietro a marchi piccoli come KiteLoose c’è un team di poche persone che si occupano di più cose contemporaneamente, tu cosa fai esattamente?

«Sì certo, io per esempio mi occupo di tutto quello che riguarda lo sviluppo e la produzione dei nostri prodotti, a partire dalle tavole. Prima di occuparmi di kite ho lavorato per tanti anni nell’industria dello sci e dello snowboard collaborando con diverse aziende. Poi per passione fin da ragazzo costruivo le tavole da windsurf, erano gli Anni 80 e a quel tempo era di moda farsi la tavola in cantina. Tutto questo mi ha fatto conoscere molto presto tutti i materiali tipici di questi sport, materiali spesso tossici purtroppo, come resine e poliuretano, con cui tutt’oggi convivo e respiro. Per tanti anni la produzione di twintip è stata interna alla nostra azienda. attualmente invece è stata spostata all’esterno a una grossa ditta che però segue le mie direttive, le mie idee, i miei shape. Internamente ora realizzo però tutti i surfini dall’inizio alla fine: si tratta di tavole costruite su ordinazione, personalizzate in quanto i do dei suggerimenti in base alle esigenze del cliente e in circa due settimane generalmente riesco a consegnare la tavola. Dove metto la massima attenzione nella realizzazione di queste tavole è il rapporto peso/resistenza, rinforzi nei punti della tavola più sollecitati (talloni, scasse, etc.) attraverso dei materiali che ho testato in questi anni. Tutti i pezzi sono garantiti, io ci metto sempre la faccia»

Nel lavoro di ricerca dello shape fai tutto da solo o ti aiuta un team di atleti che testano le attrezzature?

«Il rapporto con i collaboratori e con gli atleti è fondamentale. Da circa un anno stiamo collaborando con Erik Volpe con il quale stiamo sviluppando il settore Freestyle. La tavola Essence per il 2015 è già disponibile ed è stata realizzata sulle esigenze specifiche di Erik con cui c’è veramente un grande rapporto: è un ragazzo giovane, ma bravo e molto attento alle specifiche di linee e materiali. L’elemento per noi importante in ogni caso è cercare di interpretare le esigenze di prestazioni e comfort degli atleti e declinarle verso un pubblico più largo, di semplici appassionati: le attrezzature, sia ali che tavole, devono essere facili, gestibili, accessibili da parte dei nostri clienti che spesso sono bravi rider oppure praticano la disciplina solo nella bella stagione e che di certo non sono tutti campioni. La mia idea è che quando si fa kitesurf, bisogna divertirsi e non diventare pazzi con attrezzatura difficile o ingestibile e devo dire che negli ultimi anni siamo riusciti a realizzare prodotti performanti ma al tempo stesso semplici e divertenti da utilizzare, come le Raw attuali che sono una perfetta sintesi di tutti questi elementi. La stessa tavola Essence è un ottimo crossover dalle potenzialità incredibili, perfetta per chi fa Freestyle, ma anche per chi magari ha appena finito un corso di iniziazione. Oggi tutti i maggiori brand propongono tavole da Freestyle molto “sbananate” come forma e molto rigide. La Essence al contrario è morbida, con una rocker line meno aggressiva e va bene anche con mare choppato. Anche per i surfini il concetto è quello di creare prodotti performanti ma facili da gestire, in catalogo ora abbiamo le Nirvana che stanno lasciando un bel segno, tutti quelle che le hanno provate sono contenti,  sia principianti che specialisti del wave e le ordinazioni non mancano».

 – Come fai a far conoscere le tavole e le ali KiteLoose?

«Oltre al nostro sito www.loose.it cerchiamo di essere presenti il più possibile sul territorio, esigenze di lavoro permettendo. Normalmente in inverno nei week end o anche durante la settimana se le condizioni ci sono siamo in giro con gli amici sulle spiagge della Liguria o in Francia. In estate invece cerchiamo di capire dove c’è vento e raggiungiamo i vari spot poi nel mese di agosto di solito facciamo un giro più lungo, l’anno scorso abbiamo fatto tanta Sardegna e Toscana, mentre dua anni fa abbiamo girato quasi tutta l’Italia fermandoci sulle spiagge e facendo provare a tutti le nostre attrezzature. I test diretti sono ancora oggi il metodo migliore per far conoscere alle persone il nostro marchio e la nostra idea di fare kite che è molto diversa da quella dei grandi brand. Noi investiamo poco in pubblicità e marketing, tutto il nostro impegno va sul prodotto. Però stiamo cercando di creare un network di gente appassionata e motivata che ci aiuti anche con nuove idee a diffondere i nostri prodotti. Chiunque è interessato sa dove trovarmi».

– Max tu che hai vissuto prima l’esplosione dello sci, poi quella dello snowboard, che idea ti sei fatta del kitesurf e secondo te dove sta andando questa disciplina?

«Il Kitesurf ha avuto almeno in Italia il picco di popolarità a metà degli anni 2000, diciamo tra il 2005 e il 2006 poi a mio avviso si è stabilizzato. Chiaramente con la crisi economica le vendite di attrezzature e accessori si sono contratte per tutti i brand, del resto il kitesurf è uno sport, un passatempo, un qualcosa in più nella nostra vita. Noi cerchiamo di contenere al massimo i prezzi per agevolare tutti ad acquistare i materiali. Secondo me è una disciplina con un futuro certamente positivo, l’unica cosa che mi auguro è che tutte le scuole che operano in Italia e all’estero continuino a fare un lavoro molto preciso sulla formazione perché sempre più spesso vedo gente che finisce un corso e che non è completamente autosufficiente con il rischio di creare problemi a sé e agli altri in acqua e a terra. Per fortuna riguardo alla sicurezza di questo sport i materiali e i dispositivi di oggi non sono comparabili con quanto c’era 10 anni fa e i passi in avanti sono innegabili. Chi esce in mare tuttavia deve essere umile, critico nei confronti di sé stesso e del contesto ambientale e meteomarino e soprattutto conoscere le proprie potenzialità e i propri limiti».

Articolo redatto da
DAVID INGIOSI
Giornalista e Videoreporter
ufficiostampa@kitesurfing.it

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